Il pane “condito”, ossia quella bella fetta di pane (possibilmente pugliese) con olio, pomodoro e un po' di sale ed origano, è unpasto universale, il più semplice che si possa realizzare con le materie prime della campagna. Colazione, pranzo, merenda o cena non fa differenza: è il pasto “povero” per antonomasia ma allo stesso tempo quello cui nessuno sa dire “non mi piace” perchè è, effettivamente, buonissimo e si lascia apprezzare da qualsiasi palato.
Ecco, quello cui punto, ormao da diversi anni, è una fotografia “pane e pomodoro”, fatta di ingredienti semplici, che possa essere apprezzata da tanti, senza ricorrere a effetti speciali o mirabilant giri di parole per essere spiegata.
Così come il piatto cui mi ispiro, anche la fotografia che porto avanti con convinzione, deve rivolgersi ad un pubblico vario e deve raccontare qualcosa comprensibile senza essere inutilmente sofisticata.
Ho abbandonato da anni l'idea che per fare fotografie interessanti o trovare storie da raccontare sia necessario andare dall'altra parte del pianeta, intraprendere viaggi in posti esotici o cercare la perfezione formale tanto osannata nei manuali di tecnica fotografica inseguita a scapito della realtò stesso.
Questo tipo di fotografia potrà non essere quella più apprezzata dal pubblico degli “esperti”, dei tecnici del mezzo fotografico e di coloro che sono cresciuti nel credo della gamma dinamica ma saprà sicuramete svolgere il ruolo di documentazione e testimonianza per gli anni a venire, qualcosa che le fotografie usa-e-getta tanto in voga al momento, tra photoshoppate e dilagante intelligenza artificiale non potranno mai fare od essere.
Insomma, viva la fotografia "Pane e Pomodoro".
Bell’articolo. La fotografia migliore è quella che, ritraendo il mondo, parla di noi stessi, e nello scatto si può riconoscere chi c’era dietro il mirino.
RispondiEliminaBellissime immagini che documentano il nostro quotidiano e che resteranno comunque come testimonianza della nostra società
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