// Sempre di più, sempre peggio

 
E’ iniziato l’anno nuovo ed con esso i buoni propositi e obiettivi da seguire per i prossimi mesi. La cosa che mi preme maggiormente è riuscire a mantenere integrità produttiva e distacco dall’omologazione dilagante che imperversa nella nostra vita.






 

 

Il danno peggiore che la massificazione dei contenuti ha portato con sé è l'aver diffuso una insostenibile noia generalizzata nella fruizione di qualsiasi media: la pochezza di contenuti, unita alla semplicità con cui è possibile, ormai, realizzare una qualsiasi forma di comunicazione, ci rendono incapaci di concentrarci e farci davvero apprezzare un determinato argomento.

Logica vorrebbe che per far fronte ad un decadimento di contenuti si rispondesse con un miglioramento degli stessi, riponendo maggior cura sia nella forma che nella sostanza; la realtà ci mostra invece una situazione completamente opposta, in cui per far fronte al calo generale di interesse si adotta una formula volta ad una ulteriore semplificazione e velocità della fruizione.

Sostanzialmente, veniamo bombardati da informazioni di bassa qualità e di durata sempre minore in modo da poter compensare la nostra disattenzione da assuefazione.


Questo è ormai diventato un vero dramma non solo per quanto riguarda la capacità – ormai irrimediabilmente compromessa – di dedicarsi all'analisi di un contenuto ma anche per quanto riguarda la qualità delle informazioni che andiamo a trattenere.

Non voglio andare a ad imbarcarmi in discorsi particolarmente complessi (che non mi competono), mi basterà prendere ad esempio quello che accade nei campi di mio interesse, come quello fotografico (di cui sono parte attiva e passiva) e di quello musicale (di cui son solo fruitore). 





Trovo una forte analogia tra questi due mondi per quanto riguarda, ad esempio, il modo di fruizione offerto: entrambi i media hanno ormai “fretta” di essere consumati e vengono proposti in maniera sempre più semplificata.
La fotografia si visiona in velocità; le immagini devono essere di facile lettura e subito “wow” per cercare di garantire almeno quei pochi secondi di attenzione, altrimenti è subito “noia”. A chi vuol dedicarsi alla fotografia, seguendo le regole di questo gioco, viene richiesta una continua, costante, produttività da sbandierare senza riserve a chiunque si trovi a tiro, allargando sempre più (con mezzi più o meno leciti) la propria cerchia di seguaci neanche troppo interessati al contenuto: per cercare di emergere, creandosi un seguito più corposo, sono chiamati ad assecondare questo sistema del consumo veloce, creando e mostrando in continuazione, spezzoni, briciole, frammenti insignificanti del loro lavoro, consci che pochissimi avranno tempo ed attenzione da dedicare a qualcosa di più complesso ed articolato, più rappresentativo del proprio lavoro, come un progetto, un portfolio e in generale una serie per la cui visione verrebbe richiesto troppo tempo ed attenzione.
Il contorno sembra diventato ormai il vero contenuto, mentre il piatto principale non interessa quasi a nessuno. I video di backstage imperversano e sono ormai più importanti dello “stage” stesso ma anche queste nuove primedonne non possono permettersi il lusso di durare che una manciata di secondi prima di indurre il fruitore all’inevitabile “skip”; per non parlare dei “reels” in cui, come brave scimmiette ammaestrate, personaggi di ogni estrazione sociale si rendono ridicoli pur di acchiappare visualizzazioni.

Il primo Album acquistato nel 2025


In maniera similare, anche la musica ha ormai quasi perso il concetto di “album”, di un lavoro organico e compiuto nella sua interezza: si ragiona per spezzoni (per accompagnare i post sui social), singoli (sempre più uguali tra loro e sempre più brevi nella durata), playlist, ossia una fruizione mirata volta ad eliminare tutto quello che si pare superfluo ed inutile con il solo risultato di far perdere di vista il lavoro di un artista che invece si esprime non solo nella pluralità dei propri contenuti ma anche nell'ordine in cui questi vengono proposti. E’ stato anche appurato che la durata media dei dischi si è ridotta assieme alla lunghezza media dei singoli brani, ormai quasi mai più lunghi di 3 minuti.
La fama di un artista adesso si misura in numero di visualizzazioni di “stream” (peraltro gratuiti) e non più in copie di dischi venduti, e fa già ridere così.

Trovo una forte analogia tra i due mondi. Album musicali e progetti fotografici non sono per nulla dissimili, anzi. Sono le medesime rappresentazioni della volontà di un autore di esternare, raccontare qualcosa, non limitandosi al contenuto stesso ma attraverso forma, enfasi e tratto personali: è la materializzazione di una propria idea, in una forma più articolata e complessa rispetto al concetto di partenza.
Così come non è possibile affermare di conoscere o apprezzare un musicista o un gruppo attraverso l’ascolto casuale di qualche singolo brano, allo stesso modo è impossibile comprendere la complessità e la visione di un qualsiasi fotografo attraverso la visione di scatti sparsi e visti casualmente, mentre si scorre distrattamente il proprio “feed” bombardati da pattume digitale di ogni tipo. 


progetto work in progress per il 2025



Non vi è affronto peggiore per un fotografo, a mio avviso, che essere giudicato (come tanto piace fare invece) attraverso una singola fotografia come se, da una sola frase estrapolata da un contesto di un autore sconosciuto, si potessero fare chissà quali e profonde considerazioni sullo stesso e sulla propria produzione(scenario che invece si rivela proprio quello contemporaneo, in tutti i campi della nostra società).
E’ proprio il senso di rigetto per questo modi di fruire dell’opera altrui che non mi ha mai fatto perdere la voglia e la curiosità di ascoltare la musica così come l’autore l’ha confezionata, nella sua totalità e nel preciso ordine in cui i brani sono stati pensati per costruire il messaggio voluto.


Alcune copie cartacee del mio ultimo libro auto-prodotto

 

Questo approccio curioso, rilassato e lento è l'unico modo in cui, personalmente, fruisco dei contenuti che mi interessano davvero: che si parli di musica o immagini, non riesco a non addentrarmi in maniera profonda nell’esplorazione e nella scoperta; esattamente allo stesso modo non concepisco più il sottoporre il mio lavoro alla visione altrui se non sotto-forma di un progetto, nell'esatta maniera in cui vorrei che fosse vissuto.
E' il motivo per cui da tempo non lascio più né commenti né consigli a foto pubblicate on line: non trovo proprio possibile dire qualcosa di sensato, dare un consiglio sincero, senza prima spendere tempo e risorse per addentrarmi nella comprensione dell’autore e considerando l’impegno richiesto lo faccio solo quando veramente ne sento la spinta necessaria: trovo che non ci sia nulla di più noioso ed inutile che ricevere apprezzamenti casuali, messi lì “tanto per”, basati su una fruizione superficiale e parziale del proprio lavoro. 

 



Purtroppo viviamo in un contesto sociale in cui questa è la normalità; si vive di effimera fama virtuale ed i social network (e le modalità con cui continuano ad evolvere) ne sono la chiara dimostrazione.

Ad un pubblico che spegne sempre di più capacità critica ed attenzione, serve rispondere in maniera diametralmente opposta, con contenuti che ne stimolino non solo la fruizione ma anche l'approfondimento.
Anche continuare a scrivere lunghi testi in questo blog (come questo post) che sarà letto da pochi invece di realizzare video d’opinione su un canale YouTube è il mio modo di fare resistenza a questa cultura di appiattimento dilagante.



Anche perché scrivere, seduto comodamente davanti ad un rilassante caminetto accesso (come sto facendo in questo momento) è decisamente più rilassante che passare ore a filmarsi, montare ed editare video, che se va bene saranno ascoltati mentre ci si de
dica, distrattamente, ad altro.



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