// Il Reporter della domenica

Esiste una categoria di persone che si ricorda di avere una macchina fotografica solamente in talune situazioni ben specifiche. Quelli che la sfoderano solamente per andare in vacanza, quelli che solo quando si sposa qualcuno e poi ci sono quelli che passano mesi a guardare foto spettacolari di reportage in giro per il mondo e non aspettano altro che qualche disgrazia per poter andare a fare il loro racconto.


 Robert Capa: foto scattate mentre piovevano proiettili da ogni parte. Una foto mossa, sbagliata che vale più di 1000 foto perfette

Lo so, è un post molto polemico, ma data la situazione attuale di alcune città investite gravemente dal mal tempo, gente che ha perso tutto o quasi, sinceramente penso che vedere qualcuno andare in giro a cercare il suo scatto "artistico" sia un pò fuoriluogo.


Uno dei più grandi reporter della storia, se non proprio il padre del reportage di guerra, è morto sul campo: era in prima linea anche nello sbarco in Normandia. Non è arrivato a fotografare dopo, a giochi fatti. 
I recenti reporter assassinati in medio Oriente erano lì a vivere in prima persona la guerra, e non hanno fatto ritorno a casa. 

Raccontare qualcosa, fare un reportage, significa in primo luogo vivere il fatto stesso in prima persona non arrivare e fotografare a casaccio scene strappalacrime o di coraggio.

C'è molta confusione tra l'altro, proprio sulla parola stessa reportage. Proprio ieri mi sono imbattuto in un sito di un "concorrente" (già a chiamarlo così mi sento un pò autooffeso, in realtà) che scambia per reportage quattro foto scattate in centro città a due vecchietti in bianco e nero. 

Reportage è Racconto. E' cronaca. E' qualcosa che si vive e si racconta. Non è arte, non è photoshop. Non basta un viraggio in bianco e nero. Scherziamo?
Raccontare fotograficamente significa vivere in prima persona qualcosa e poi fotografare. 
I grandi reporter non vanno a fare il viaggetto in Oriente a far le foto ricordo degli indigeni sorridenti lasciando loro la monetina. Passano settimane, se non mesi, vivendo nella zona, inserendosi nell'ambiente, entrando nella comunità prima di iniziare a raccontar qualcosa che abbia un senso. Questo turismo fotografico della disgrazia non ha davvero nulla di nobile o interessante. 

Il terremoto dell' Aquila, la tragedia della Concordia, il terremoto in Emilia Romagna, e tantissimi altri eventi hanno attirato maree di fotoamatori pronti a cercare il loro "racconto spettacolare", il loro scatto vincente.

Esiste gente pagata ed ingaggiata per compiere questo lavoro, sono i fotogiornalisti e i reporter.
Non sto parlando di chi ha condiviso, giustamente, momenti o situazioni tramite cellulare o altro mezzo. Le prime informazioni ormai viaggiano in questo modo, e questo è un bene. Io parlo di persone che proprio vanno a fare le loro foto, attrezzati di tutto punto, per poi mandare il ritratto meglio riuscito o la foto più spettacolare a qualche pubblicazione, sito o rivista in cerca di gloria.

Posso anche immaginare che possa nascere una certa voglia di raccontare, di condividere, per cercare di sensibilizzare ma la sensazione che si tratti più di uno "sciacallaggio fotografico" prevale nella mia mente. Rubare, momenti di tragedia o di umanità altrui per cercare notorietà in qualche concorso fotografico, far vedere che "si è sul pezzo" quando in realtà si è arrivati a fare il compitino ad emergenza più che rientrata, non dovrebbe essere proprio un motivo di vanto.

Più di qualcuno, chiamato in causa si sentirà offeso da queste parole, qualcun altro forse capirà. 
Ovviamente ognuno è libero di vivere la fotografia come preferisce, allo stesso modo di cui il sono libero di esprimere il mio disappunto per certe scelte di comportamento. La buona Fotografia deve essere anche eticamente corretta.



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