// Arturo Zavattini Fotografo - Parma

A Reggio Emilia, in questo periodo, c'è il Festival della Fotografia Europea con i suoi grandi nomi, i talk, le mostre.  Ma Parma, contemporaneamente, si ritaglia un importante spazio per gli amanti della fotografia, quella buona (per intenderci), con la mostra di Arturo Zavattini, figlio del più noto padre Cesare, legato anche esso a doppio filo con la storia dell'arte visiva italiana e con quella di Franco Fontana all'interno del circuito Parma 360 Festival. Su Fontana non c'è bisogno si spendere parole, mentre su Zavattini mi voglio proprio dilungare e se fino ad oggi ne ignoravo la produzione fino ad e non intendo continuare a perpetuare questo errore, poichè l'esposizione di Palazzo Pigorini  (gratuita, tra l'altro!) è non solo un testamento di ottima fotografia ma è allo stesso tempo un importante documento di "chi siamo, come eravamo e cosa dovremmo tornare ad essere".


Arturo Zavattini



In un momento storico così incerto e ricco e povero di certezze, le foto della nostra identità sociale di chi erano i nostri nonni e i nostri padri, del loro quotidiano così duro ma allo stesso tempo gratificante, riportano negli occhi di chi osserva questo estratto in mostra, amore e orgoglio per la nostra nazione e verso una italianità perduta.
Da Nord a Sud l'autore posa il suo occhio fotografico sulla quotidianità della lucania, a cui è dedicato parecchio spazio (Tricarico, Matera), della pianura padana e della sua Luzzara (di dove è originario) senza dimenticare la capitale e un lungo excursus in paesi più esotici, tra Cuba in cui appare ripetutamente un giovane Che Guevara, e la più povera Thailandia.






Le foto, realizzate tra gli anni 50 e 50, rigorosamente a pellicola e a 50mm, offrono uno spaccato commovente di un periodo storico importantissimo, attraverso l'occhio attento ma non invadente del fotografo.
Le stampe, di dimensioni generose e di ottima qualità, mostrano i segni del tempo ma allo stesso tempo della invulnerabilità e dell'importanza di un archivio al trascorrere degli anni: una memoria permanente e indistruttibile di chi siamo.
La selezione è un lavoro di ripescaggio dall'archivio personale del fotografo, realizzato nel corso dei suoi viaggio e nei momenti di tregua dalla sua principale attività legata al cinema. Un lavoro, quindi, ma più che altro un viaggio, tra immagini in parte dimenticate cui l'autore ha dovuto dare nuova vita per questa mostra.



La mostra è realizzata sui due piani di Palazzo Pigorini, via Repubblica 29 a Parma, con una divisione tra materiale realizzato in viaggi italiani (primo piano) e estero e un piccolo capitolo di "dolce vita" romana al secondo.
Nonostante la qualità tecnicamente migliore degli scatti del secondo piano (primi piani intensi, ambientazioni forti e a tratti spettacolari) è nel quotidiano italiano che il lavoro di Arturo Zavattini mi ha conquistato.






Se non ci fosse una datazione che colloca le foto estere a 60 anni fa, si potrebbe tranquillamente scambiarle per un reportage di viaggio odierno in terre lontane e questo dovrebbe far riflettere tantissimi che, macchina al collo, partono per un turismo fotografico che è stato già scritto e riscritto da almeno 60-70 anni.
Lo stesso "padre" della fotografia e del ritratto di viaggio odierna, McCurry, e la nascita di un certo tipo di fotografia ormai stereotipata, sono temporalmente successivi, per cui, a ben vedere, non certo originali.  Per i tempi non sospetti in cui furono realizzate, queste immagini, hanno un impatto, direi folgorante. Giovani atleti che si allenano nelle arti marziali (a chi ricordano i monaci shaolin del noto fotografo Magnum?), i pescatori, la povertà, il quotidiano duro ma col sorriso sul volto e questi enormi occhi pieni di speranza. Già visto (troppe volte), vero? Ecco, però qui siamo più verso la matrice di una certa fotografia e non verso lo stereotipo e la banalizzazione. 
In ogni caso, torno a ripetere, l'impressione che ho avuto è che il nocciolo del lavoro sia al primo piano, mentre in queste selezioni dei viaggi esteri vi sia una  maggior ricerca della forma e dell'impatto a discapito della genuinità della storia.







Nel mio silente passeggiare in completa solitudine  (sabato pomeriggio e per giunta piovoso, vergogna!) mi rendevo sempre più conto di quante immagine iconiche (mancate) vi fossero all'interno della produzione di Arturo Zavattini, di quanto alcune di queste avessero la stessa se non superiore forza iconografica di un Bresson o un Doisenau e di quanto, quindi, questi ultimi possano essere, forse, in molti casi miticizzati. Parimenti emerge la potenza e la forza di un archivio; di quanto un lavoro seriale sulla quotidianità possa acquisire una importanza e una propria unicità senza tempo col passare del tempo.



Si tende a ricordare sempre e solo i grandi della fotografia, i maestri della strada, del quotidiano, e non sappiamo di quanto di grandioso abbiamo a portata di mano che parla proprio di noi, senza andare a scomodare metropoli d'oltreoceano o d'oltralpe (senza nulla togliere ai monumentali nomi storici, sia chiaro).

E Chissà quante altre storie e racconti nell'archivio di Zavattini figlio che, per ovvie ragioni di spazio, non potevano esserci: prendiamolo come uno spunto e un punto di partenza per riscoprire grande fotografia, tornare a fare buona e utile fotografia e conoscere la nostra storia..



Tutte le immagini a corredo sono di Arturo Zavattini e sono state fornite a scopo promozionale dall'ente organizzativo.

ARTURO ZAVATTINI FOTOGRAFO - viaggi e cinema 1950 > 1960
a cura di Francesco Faeta e Giacomo Daniele Fragapane

Dal 13/4  al 3/6/2018 Ingresso Libero.

PALAZZO PIGORINI via Repubblica 29, Parma



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