// Tornare a Fotografare

Quando una volta "una fotografia" aveva un costo ben preciso, le cose erano diverse. Sapevi che quel fotogramma non andava sprecato perchè costava il rullo, costava lo sviluppo, costava la stampa ma, soprattutto, un fotogramma sprecato era un fotogramma in meno da poter utilizzare.
Scegliere la giusta sensibilità della pellicola era una altra forma di "bravura", era una forma di pre-visione di quello che si andava a fotografare.





Ora non è più così, o meglio non è più così per moltissimi, ed è un peccato. E' un peccato che si stia perdendo quella concentrazione, quella riflessione, quella pianificazione che dovrebbe esserci dietro ogni passo, movimento, azione che porta al fatidico click. E' un peccato che non si capisca più la differenza tra utilizzare la giusta sensibilità  per cogliere la vera natura della luce e non  fare le cose a caso "tantoilmiosensorefafinoamillemilaiso".


E' un vero peccato che non tutti abbiano avuto modo di provare in passato o, spinti dalla curiosità, trovino adesso lo spunto per praticare un pò di fotografia analogica. Proprio qualche giorno da ho avuto una veloce conversazione con un amico appassionato che mi ha confidato di aver abbandonato completamente il digitale per poter rispolverare, quando proprio aveva bisogno di fare "click" una bella Pentax 6x6. Alla domanda su come si comportava in virtù dei prezzi stratosferici di pellicole e sviluppo/stampa mi ha risposto che non gli interessava. E' il suo divertimento, alla domenica si fa il il suo rullo da 12 pose e questo è sufficiente. 12 pose che sono certo valgono per 1000 esposizioni digitali se fatte con passione, attenzione, e cognizione.

"Pensare in analogico e fotografare in digitale". Questo dovrebbe essere il motto di chiunque si professi amante della fotografia. E' una frase estratta da una intervista di non ricordo chi da una rivista appena acquistata (sono in ferie e necessito di materiale sfogliabile, capitemi!) che riassume perfettamente il modo di approccio più corretto alla fotografia. E vi assicuro che si sbaglia anche meno che non fare 10 o più tentativi (magari in raffica) per ogni esposizione.

Imparare ad osservarsi attorno, cogliere l'essenza delle cose, delle persone, di un posto dovrebbe essere la priorità e non, invece, prendere in mano la macchina fotografica e fotografare, sempre allo stesso modo, tutti e tutto. 
La prima "fotografia" dovremmo farla con i nostri occhi affidandoci anche al cuore, al sentimento. Non serve macchina fotografica per questo, serve solo voglia di vedere cose nuove o vedere "diversamente" (da qui la mia convinzione che non è sicuramente la macchina fotografica a permetterci di fare belle fotografie).
E non intendo fotografare fiori sul balcone, bottiglie vuote all'angolo della strada, lattine sul tavolo della cucina, con il "bokeh"  e con la solita scusa de "da quando ho la macchina fotografica sono molto attratto dai dettagli più comuni". Non raccontiamoci palle... creiamoci una cultura fotografica, una nostra personale concezione della fotografia basandoci su quello fatto dagli altri e poi iniziamo a muovere i nostri passi.

Proviamo, ad esempio, a partire da cose o situazioni che conosciamo già bene e poi passiamo ad altre, con lo stesso approccio. Qualche idea? Qualcosa che conosciamo bene, che sapremmo raccontare sicuramente con un punto di vista molto personale e con cognizione:  la mia famiglia, il mio quartiere... mettiamoci nei panni di chi non conosce e avrà solo le nostre immagini per entrare nella nostra "visione", nel nostro racconto. Non diamo nulla per scontato, osserviamo a 360°.

Riversiamo il nostro "io" nelle nostre foto per renderle migliori, per renderle vere, per renderle Fotografie e non frammenti digitali buttati in quel calderone dei social network solo per avere qualche effimero apprezzamento di qualcun altro.

Scattiamo di meno, scattiamo meglio. Lasciamo perdere il banale e concentriamoci su storie, emozioni vere, racconti completi. Lasciamo che le nostre foto parlino da sole senza bisogno di troppe parole di accompagnamento. 
Spiegare una fotografia è come spiegare una barzelletta: non ha funzionato, in questo caso. Dice Berengo Gardin che la una fotografia ha bisogno di poche informazioni che l'accompagnino: una data, un luogo, e un nome proprio di persona, se necessario. 

Visione. Essenzialità. Tema. Non serve altro.

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