Ci sono dei gruppi musicali che stanno sulle p...e a prescindere. Questa è una certezza ormai consolidata nella mia testa dopo circa 35 anni di fruizione. Non importa il motivo, succede e basta. I Machine Head rientrano a pieno titolo in questa categoria, probabilmente perché muta-forma e poco avvezzi a mantenere una propria identità musicale troppo a lungo (sebbene non abbiano mai abbandonato uno stile riconoscibile per tutta la carriera) o per via della figura ingombrante di padre-padrone del loro leader.
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Machine Head, 2025 |
Credo che sia abbastanza ovvio che un gruppo, che cavalca le scene da 30 anni, non sia in grado più di mantenere un livello compositivo tale da permettergli di fare dei centri pieni ad ogni nuova uscita: non ne sono in grado gli Iron Maiden, non ne sono in grado i Metallica, e la lista può continuare. Qualsiasi artista, di qualsiasi campo, non può mantenere ispirazione e qualità per sempre, per cui ad un certo punto bisogna anche essere in grado di ridimensionare le proprie aspettative oggettive nei confronti di chi, come i MH, non molla il colpo da un bel po' di tempo.
Unatoned è stato massacrato dalla critica “quasi” ovunque; a parte un paio di recensioni entusiastiche (che mi hanno incuriosito parecchio), le insufficienze si sono sprecate. Quello che però non mi ha convinto del tutto di questa situazione e che mi ha fatto propendere per dare a Unatoned (scusate ma non non ho voglia di mettermi a fare le o sbarrate) è stata la non omogeneità dei motivi portati a sostegno di tali stroncature. Quando i motivi di critica entrano così nel “soggettivo” è molto facile che si stia incappando una delle situazioni descritte in apertura; meglio indagare direttamente allora anche perché non rientro assolutamente tra quelli che non sopportano la creatura di Robb Flynn, anzi.
Partiamo dal presupposto che è abbastanza evidente che non ci sarà mai più un altro Burn My Eyes (facevo le superiori quando finalmente riuscii ad avere il CD e rimasi a bocca aperta ascoltando quel sound ) o se preferite il più recente The Blackening; mettiamo poi in conto che personalmente ho apprezzato l’ultimo corso della band e che non trovo Catharsis questo scempio immane descritto da molti (lo ascolto spesso e volentieri) e aggiungiamo che in molti concordavano nel definire questo Unatoned migliore di quest’ultimo: tutto sommato le premesse non erano poi così disastrose e mi sono accostato all’ascolto con curiosità sincera.
Se utilizzassi correttamente una scala di valutazione con voti da 1 a 10 (cosa che nessuno fa mai), dando esattamente ad ogni voto il suo valore, Unatoned sarebbe tra un 6,5 pieno o addirittura un 7-. Ricordate a scuola quanto bisognava faticare per avere un 6? Ecco, il senso di questo mio voto è proprio questo. Una sufficienza piena, una vera sufficienza piena, che strizza l’occhio a qualcosa in più ma non ce la fa: un prodotto che con qualcosina in più finiva nel Buono. A volte è un attimo commettere una sciocchezza, inserire qualche ingenuità di troppo, compromettendo un buon lavoro. Capita. Ma non bisogna neanche perdere di vista il buono che resta.
Purtroppo il metodo di valutazione che molti siti adottano, rifiutandosi (per decenza politica e probabilmente evitare problemi con le etichette) di utilizzare tutto il range di voti a disposizione, ha creato una situazione di confusione, ove il 6 è diventato sinonimo di “porcheria” e l' 8 di “eccellenza” , facendo perdere, in questo modo, importantissime sfumature nella valutazione finale concentrata nel voto numerico.
Unatoned non è brutto, forse incompleto, ma non brutto come si può intendere un lavoro di m….a: contiene diversi pezzi belli tirati ed energici, qualche inutilità e in generale trasmette la sensazione di provare a diversificarsi dalla prolissità dei precedenti lavori che, in alcuni casi funziona e in altri un po' meno. Le aperture “clean” ed i facili ritornelli “catchy” non mi disturbano, anzi, in sede live saranno dei veri assi nella manica (perché da vivo, e qui non ci sono mai lamentele, i Machine Head sono una bomba!) per la band.
Come dicevo in apertura, è ingiusto pensare che una band così longeva possa continuare a sfornare dischi perfetti dopo una carriera così lunga: come per tanti altri noti credo che ormai i nostri possano fregiarsi di uno status che “fa vendere” da solo, lasciando ad ogni fan il compito di farsi una propria idea: per certe band non andrebbero neanche fatte le recensioni (modestissimo parere). Tutto sommato bisogna dare atto a Flynn di non essersi mai adagiato sugli allori e di aver sempre provato a cambiare un po' l’identità della sua creatura. Che li si ami o li odi, a mio avviso anche questa volta ci sono 3-4 pezzi davvero belli, altri interessanti ma sgambettati da qualche caduta di stile o forzatura e si, un paio dimenticabili. Con qualche minuto in più qua e la (alcuni brani sembrano rimanere sospesi) e una ripulita generale a qualche ingenuità compositiva, staremmo parlando di un ottimo disco, ma anche così, non sono così deluso da privarmi dell’ascolto (e dal possesso) di questo nuovo lavoro della band che seguo dall’esordio nel lontano 1994.
Formazione (2025)
Robb Flynn: Vocals and Guitar
Jared MacEachern: Bass
Matt Alston: Drums
Reece Alan Scruggs: Guita
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